Incontriamo Rachele e Ruth sulla via di Betlemme

Dedicato a Maria Angela Baroncelli, donna e maestra straordinaria e Paola Bianchi compagna di vita unica ed eccezionale

“Pauper, pauper, servus et humilis”

Cesar Franck- Panis Angelicus

Due donne aprono la via a Yeshu’a haMashiach, Gesù il Messia.

La prima è Rachele la moglie di Giacobbe, colei che è “bella d’aspetto e di forme” e che partorisce due figli, Giuseppe e Beniamino, e il secondo le è fatale, perché mentre Giuseppe è il “figlio aggiunto”, da Yasaf, quindi “aumentare aggiungere”, Beniamino è il “figlio del mio dolore”, Ben-onì, in ebraico biblico, poi richiamato da Giacobbe “Viniamin”, “figlio della destra”.

Rachele, dopo aver partorito Beniamino, che Giacobbe chiama così trasformando “il figlio del mio dolore” in “figlio della destra”, muore e viene sepolta “sulla via di Efrath che è Beth-Lechem”, ossia Betlemme, la casa del pane.

Rachele è la profezia vivente del Messia che arriverà di lì a poco (il tempo nostro è così piccolo anche se parliamo di migliaia di anni, o centinaia di migliaia di anni, perché rapportato all’eternità di Dio è il nulla, come anche recita il salmo 90: “Ki-‘elef shanìm be’enècha cheiòm ‘etmòl kì ia’avòr ve’ashmurà vallàila” “perché mille anni ai tuoi occhi sono come il giorno di ieri che è passato e come (un turno di servizio) di notte”) perché i due figli rappresentano ciò che sarà, vivrà e diverrà  Yeshu’a:

  1. Yeshu’a è il “figlio aggiunto” colui che, donato da Dio al genere umano, deve “aumentare” mentre Giovanni Battista, in ebraico “”colui che immerge””, deve “decrescere”. L’aumento di Yeshu’a è nel metodo che fornisce agli uomini e nello Spirito che infonde ai suoi apostoli e in tutti coloro che credono il Lui per divulgare la Potenza del Padre. Yeshu’a aumenta tutto, aggiunge tutto, non disperde nulla, come un viticoltore che cura la sua vigna e raccoglie ogni chicco d’uva dai tralci di vite. Yeshu’a aumenta la fede, la carità, e fa divenire le anime come fiamme inestinguibili con la Sua umiltà e il Suo esempio. Giuseppe è anche il nome del padre terreno di Yeshu’a.
  2. Yeshu’a è il “figlio del mio dolore” perché attraverso il suo dolore redime il genere umano dalle proprie colpe, come anche fa recitare Lui nel suo Padre Nostro: “Uslach-lanù et ‘ashmatènu cha’ashèr solchìm anachnù la’ashèr ‘àshmu lànu”, ossia “perdonaci le nostre colpe, così come noi perdoniamo quelli che sono colpevoli verso di noi”. La colpa genera dolore, quel dolore che noi psicologi definiamo “senso di colpa” che è una ridondanza del peccato commesso in precedenza, perché come una “azione genera reazione uguale e contraria”, così l’azione colpevole genera il senso di colpa, come reazione. Yeshu’a spezza il senso di colpa, crea un “pieno spirituale” dove azione e reazione non esistono più, dove il tempo di innesco e reazione sparisce. “Il figlio del mio dolore” è anche la trasposizione profetica di Maria, Miriam, la mamma di Gesù, colei che benedetta tra le donne (Benedicta tu in mulieribus), dovrà subire il dolore della perdita di un figlio amato più di tutti. Perché l’amore di Maria verso Gesù non è un amore terreno ma spirituale. Il dolore attraverso Yeshu’a che muore in croce tra dolori atroci e la mamma che ne subisce il dolore divengono strumenti di redenzione e cambiamento del mondo materiale, che subisce la trasformazione anche non volendo. Il dolore è la croce che diviene strumento di trasformazione perché solo attraverso la presa di coscienza del proprio dolore si potrà prendere consapevolezza e cambiare in meglio. E’ una legge psicologico/spirituale a cui nessuno può sottrarsi.
  3. Yeshu’a è il “figlio della destra” perché una volta asceso diviene “il figlio dell’uomo alla destra del Padre” come da Lui predetto. Come Ben-Onì da “figlio del mio dolore” diviene Beniamino ossia “figlio della destra”, così Yeshu’a diviene da “figlio del mio dolore”, il “figlio dell’uomo alla destra del Padre”. La destra del Padre, l’acqua che scende e pervade tutto, le acque superiori che immergono la realtà materiale e la creano costantemente. Yeshu’a diviene padrone delle Acque Superiori e Inferiori, e spezza quella “Rakìa”, Firmamento, posto da Dio come divisore delle acque e trasforma l’illusione in realtà unica e spirituale. Con Yeshu’a l’illusione muore e la Rakìa non ha più modo di esistere, ciò che resta ed esiste veramente è il “mondo a venire”, perché il “mondo presente” diviene “mondo a venire”. Il Ben-Adam, “Figlio dell’Adam”, dell’uomo, diviene “Ben-‘Elohim”, ossia Figlio di Dio unigenito ed è sua questa trasformazione che si gioca il mistero di Yeshu’a, del Messia che accoglie tutti tra le sue braccia senza pregiudizi di razza, di credo, di convinzioni.

La seconda donna è Ruth, la Moabita, la convertita che non abbandona mai la vedova Noemi di Beth-Lechem, perché riconosce in lei il vero Dio, in confronto al proprio dio (“Dove sarà il tuo Dio sarà il mio Dio” Ruth 1,16). Noemi prende il nome di Mara, perché “Amara”, avendo appunto perso tutto, marito e figli, e Mara ha la stessa radice del nome Miriam, Maria, dove le prime due lettere, “Mem-Resh”, danno vita alle parole MOR, Mirra, l’incenso portato dai Magi a Yeshu’a, a MAR, goccia d’acqua (Isaia) e MAR, appunto Amaro, inacidito. Così come la goccia d’acqua scende e dà vita ad ogni cosa, allo stesso modo la Luce scende dall’alto lentamente e si riflette nel giorno e nel mare. L’acqua quindi diviene perno centrale di Maria che, come ogni donna, porta nel ventre (le acque chiuse), il frutto delle acque superiori che rifletterà nel giorno e nel mare, le acque inferiori, la Volontà divina.

Ruth la Moabita che torna con Noemi a Beth-Lechem, e decide “di spigolare dietro qualcuno” per entrare sue nelle grazie e nel campo conosce Boaz, uno dei giudici di Israele e la colonna sinistra del Tempio da cui verrà presa in sposa e a cui darà un figlio di nome Obed, padre di Iesse, padre di David, la stirpe del Messia.

Ruth profetizza alcune azioni che deve agire e subire il Messia, il virgulto di Yesse:

  1. Ruth è la profezia del Messia che verrà e che accoglie tutti, senza distinzioni, perché lei è appartenente ad un popolo Goiìm, ossia straniero, diverso dal popolo ebraico ed è proprio lei che dà vita alla stirpe del Messia, la straniera, la vedova che si risposa e accoglie l’unico vero Dio. Yeshu’a dichiarerà: “Chi non è contro di noi è per noi”, o anche “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano”, o anche “ero straniero e mi avete accolto” ed è proprio, forse, quest’ultima frase che traspone Ruth, la straniera accolta dalla sinistra di Dio, Boaz, così come Yeshu’a, il giudice supremo non farà distinzioni di popoli, di credi, di convinzioni, ma redimerà tutti coloro che lo vorranno. Ruth è il messaggio anticipatorio di Yeshu’a che farà la stessa misura tra gentili ed ebrei, tra pagani e credenti, tra peccatori e non peccatori, perché quando si è redenti, agli occhi del Padre, siamo e diveniamo tutti uguali e i “gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi”. In questo primo esempio Ruth è l’analisi, il concetto che da generale diviene particolare che da idea diviene materia, realtà.
  2. Ruth, su invito di Boaz, beve l’aceto intinto al pane: il pane intinto preannuncia il tradimento di Giuda Iscariota nei confronti di Yeshu’a, un tradimento che deve preesistere e poi esistere per dar voce al Messia che farà del perdono la chiave centrale della Torah come anche da Lui stesso affermato: “Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?” o anche “perdonali Padre perché non sanno quello che fanno” o rivolto proprio a Giuda Iscariota dice: “quello che devi fare fallo al più presto”, appena dopo che Giuda aveva intinto il pane insieme a Lui. L’aceto è altro aspetto profetico in Ruth, l’aceto che diviene la bevanda di Yeshu’a sulla croce.. Aceto, in ebraico biblico, è “Chomètz”, Chet, Mem, Tzade, ed ha un valore numerico di 138 lo stesso di Ben-Elohim, figlio di Dio, Tzemach, virgulto, Menachem, consolatore, e soprattutto di Chametz, pane lievitato. Yeshu’a attraverso l’aceto che deve bere sancisce il ruolo di Figlio di Dio, di Virgulto della stirpe di Yesse, di consolatore e di colui che trasforma il pane lievitato in aceto di Gloria. In questo secondo step Ruth è l’antitesi, ossia attraverso le prove di tradimento e di dolore il Messia sale e sancisce il suo ruolo.
  3. Ruth, su invito della “Mara” Noemi, si corica ai piedi di Boaz: l’umiltà di Ruth è l’anticipazione dell’umiltà di Yeshu’a che fa della Carità l’esempio e la leva per trasformare le persone. San Paolo scrisse “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine” (Lettera ai Corinti). Con Ruth che anticipa e San Paolo che rafforza, poi, il concetto, Yeshu’a ha Mashiach diviene la carità vivente, l’esempio di carità che non avrà mai fine. In questo terzo step Ruth è la sintesi, ossia la carità che tutto copre e tutto crede e tutto spera.

 Mauro Amici

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