La coscienza – Un punto di incontro tra scienza e spiritualità

Il medico non può sperare di curare un paziente solo attraverso le sue conoscenze mediche. L’unico modo per poterlo fare, è diventando una guida spirituale e insegnare ai pazienti un modo diverso di vivere. Egli dovrebbe sforzarsi ad aiutare chi è malato e, soprattutto, chi è ancora sano a essere sereno e senza ansia.

Moshè Maimonide

Quante volte abbiamo ascoltato o detto, noi in prima persona, queste frasi: “Sono cosciente!”, oppure “sei cosciente di questo fatto?”, oppure ancora: “fai le cose con coscienza!”, oppure ancora: “ho la coscienza a posto!”, ecco queste sono alcune delle tante frasi dove, dentro, vi è la parola coscienza o un derivato della parola coscienza. Ma cosa è la coscienza? Che effetti produce? Come si esprime? È davvero solo un prodotto dei neuroni cerebrali o è qualcosa di più profondo?

La scienza definisce la coscienza come “la mente cosciente”, che non è altro che il risultato dell’attività chimica e biologica dei neuroni cerebrali. A tal proposito, la scienza, dimostra la sua definizione attraverso “la tecnica della micro-stimolazione elettrica”, in soggetti coscienti, della corteccia cerebrale. È una pratica medica che viene effettuata prima di particolari interventi chirurgici, ad esempio, su pazienti epilettici, in cui si deve verificare la funzionalità delle diverse aree corticali per distinguere quelle malate (epilettogene) da quelle sane o normo-funzionanti. Visto che la corteccia è insensibile al dolore il paziente non viene neanche anestetizzato e, quindi, resta cosciente ( sveglio) per riferire dell’effetto della stimolazione. È stato dimostrato ampiamente che la stimolazione, ad esempio, delle aree sensoriali provoca precise percezioni acustiche, luminose, tattili e la stimolazione in altre aree, può, addirittura, evocare ricordi, che talvolta sono talmente chiari e netti, da sembrare rivissuti al momento. Altri esperimenti rilevanti sono stati condotti su pazienti splitbrain, ai quali è stato praticato il taglio delle fibre che interconnettono i due emisferi, quindi il corpo calloso che ha la funzione di collegare i due emisferi cerebrali (in genere su pazienti epilettici), lasciandoli quindi in autonomia funzionale. È ormai noto a tutti che l’emisfero sinistro è specializzato per il linguaggio, la scrittura, il ragionamento analitico, la pianificazione e la risoluzione di problemi aritmetici, mentre quello destro è specializzato nella vision, nella capacità di sintesi, nell’astrazione, nella creatività, in stimoli visivi, nell’ideazione e nella fantasia. La cosa meravigliosa, in termini scientifici, è che, se per qualche motivo un emisfero smette di funzionare, l’altro può, gradualmente, subentrare a ripristinare tutte le funzioni. In ultima analisi tale recupero è più completo e veloce quanto più giovane è l’età in cui subentra. Siamo nell’ambito della pura sperimentazione, quindi la coscienza è un derivato dell’attività dei neuroni che inter-spaziano nel corpo calloso, tra un emisfero e l’altro e permettono, laddove sia tutto sano, il perfetto funzionamento dei due emisferi cerebrali, destro e sinistro. Stando a questi studi, a queste dimostrazioni e a cosa la scienza intende per coscienza, ci ritroviamo a dover prendere atto che la coscienza è un derivato chimico dei neuroni. Ma poniamoci una banale domanda: “se i neuroni producono chimicamente energia, da dove viene l’energia stessa, trasportata dai neuroni?”. La domanda può sembrare paradossale, ma, invece, ha un tranello al suo interno. Un tranello voluto, ossia che un neurone produce chimicamente l’energia, ma l’energia è prodotta chimicamente? O piuttosto l’energia sussiste di per sé e trova nei neuroni un veicolo di trasporto? Altra domanda: “la scienza definisce la coscienza come “mente cosciente”, ma la mente non è coscienza, bensì un’energia diversa dalla coscienza. Domande e dubbi a cui cercherò di dare una risposta più avanti, con le varie correnti più importanti.

Il dizionario di psicologia (edizioni San Paolo) definisce la coscienza con le parole di James W., riprese dal suo libro intitolato “principi di psicologia”:

“Le esperienze, i ricordi, i sentimenti, le aspirazioni, le fantasie, ecc. appaiono all’individuo come una corrente su cui egli non riesce più ad avere potere.” La definizione data chiude la sua spiegazione di coscienza con queste parole “Questa osservazione fenomenica è designata da James come corrente della coscienza”

Stando al peso delle parole lette, perché le parole hanno un peso, sempre e comunque, il dizionario di psicologia non riesce a definire cosa è la coscienza, ma fa riferimento a James che descrive solo l’effetto della coscienza, ossia il sentito e vissuto attraverso sentimenti, fantasie ecc. Infatti il dizionario stesso parla di osservazione fenomenica, quindi un guardare fuori e limitarsi al guardare fuori, perché dentro non si è potuti guardare o non ci si è riusciti. Facendo una metafora: è come se decidessimo di definire un piatto di spaghetti dall’odore che emana senza addentrarci in cosa esso sia composto. Fenomenico significa che osservo un qualcosa nel suo aspetto di prodotto, di risultato, e dal risultato cerco di comprendere o capire il noumeno, o la radice che produce il risultato. Questo metodo può essere utile in termini di comportamento, per cui da un determinato comportamento posso risalire a ciò che lo ha provocato in termini di atteggiamento e schema mentale di base, ma questo metodo non va bene quando dobbiamo capire e, soprattutto, comprendere le energie di cui è fatto l’essere umano, perché la coscienza, tra tutte le energie, è la più importante. La psicologia, in generale, mette sullo stesso piano la coscienza e la consapevolezza, per cui è consapevolezza dell’individuo sia di stimoli esterni, provenienti quindi dall’ambiente, che di interni, ovvero sensazioni e pensieri; essa ha di conseguenza la duplice funzione di monitore tali stimoli, mettendone a fuoco alcuni ed ignorandone altri, e di pianificare le nostre azioni in base agli stimoli assimilati.  Quindi la coscienza assume il ruolo preciso di intermediatore tra fuori, ambiente, e dentro, noi stessi, dando all’individuo la capacità di comprendere e capire. La coscienza quindi ha una doppia funzione: oggettiva, ambiente esterno, e soggettiva, ambiente interno. Freud non suddivise la coscienza, tuttavia, per comprendere alcuni meccanismi della personalità aggiunse una specie di cantina alla coscienza: ossia l’inconscio. Perché definisco l’inconscio come una cantina? Perché solitamente nelle cantine delle case ci si mette la roba che, apparentemente, non serve più, o che va custodita perché troppo vecchia, ma non da buttare. L’inconscio diventa quindi la nostra cantina, dove noi abbiamo messo tutti i nostri ricordi ancestrali, tutti i nostri traumi, tutte le nostre esperienze che diverranno simboliche nel corso della nostra vita. Sempre secondo Freud l’inconscio è anche la parte più grande della coscienza, che rappresenterebbe solo una piccola punta dell’iceberg, ossia l’inconscio, per cui nell’inconscio oltre a tutto quello che abbiamo messo, troviamo anche qualcosa di predeterminato, ossia gli impulsi, i desideri, gli istinti, per la maggior parte legati alla sessualità, e tutto questo bagaglio poi sale alla coscienza, ma se sono troppo dolorosi vengono rimossi, provocando le famose nevrosi, psicosi, ansie ecc. Sempre secondo Freud l’inconscio era il nostro grande terreno seminato di tante cose che davano i loro frutti, soprattutto, a livello onirico e simbolico, durante il sonno e i relativi sogni. Rileggendo, comunque, tutto il periodo precedente ci accorgiamo che non c’è una definizione chiara di cosa sia la coscienza, quanto piuttosto da cosa sia composta e come agisca. È evidente che siamo ancora sull’effetto, non sulla causa, né, tanto meno, siamo su cosa sia la causa.

La definizione, più o meno, simile alla psicologia, la troviamo nell’etimo della parola coscienza, per cui scopriamo che la parola coscienza deriva dal latino conscientia, che deriva, a sua volta, dal verbo latino conscire: “essere consapevole”. Per i latini la coscienza era quel determinato discernimento tra bene e male che faceva dell’uomo l’arbitro delle sue scelte e decisioni, con un certo gradi di consapevolezza, quindi la scelta fatta dipendeva da quanto l’essere umano era in grado di conoscere il suo sé e i suoi contenuti mentali. Ma anche in questo caso, anche se con toni un po’ più semantici, siamo nell’ambito dell’effetto che viene osservato per cercare di comprendere quale sia la sua radice.

Con i greci le cose diventano un po’ più profonde perché la coscienza viene inclusa nel termine Psuchè, Psiche E forse è da qui che poi si sviluppa il termine Psicologia, ossia lo studio dell’anima o della coscienza), che fintanto è nei nostri polmoni, come aria, prende il nome di Tumòs, quindi un elemento caldo, vivente, quindi una sorta di anima/respiro con cui l’essere umano non solo vive, ma pensa e sente. Il Tumòs diviene freddo quando lascia il corpo e allora da Tumòs si trasforma in Psiche, ed è Psiche che giunge nell’Ade o nell’Aldilà. Questo concetto greco si avvicina molto al concetto ebraico di Soffio, perché il Rùach, il soffio, la nostra anima/respiro, situata nel nostro cuore, dà vita e fa pensare e sentire. Il Rùach ebraico è il soffio vitale, lo spirito, che diviene più ampio e, per così dire, cosmico, quando assume la valenza di Rùach haKKodesh, lo Spirito Santo. Centro della coscienza, nella Torah, è il cuore, Lev in ebraico biblico, dove risiede il Rùach, il soffio, perché solo attraverso il cuore l’uomo comprende, apprende, sente, percepisce e sceglie. Quindi la coscienza, nel vecchio e nuovo testamento, è un qualcosa legato all’anima, risiedente nel cuore, quindi la coscienza è l’intelligenza del cuore, come lo sarà anche nei Veda, come vedremo fra poco.  Prima di entrare nel concetto vedico di coscienza, credo sia opportuno mostrare con la Kabbalah perché Lev, il cuore (non inteso cuore come organo fisico) sia il centro di coscienza:

Lev in ebraico ha un valore numerico pari a 32 e 32 sono i sentieri dell’Albero della Vita, 22 lettere ebraiche  e 10 sefirot, o energie concentriche presenti sull’albero. L’albero siamo noi e noi siamo pervasi da 32 sentieri, 10 sefirot (simili ai Chakra) e 22 sentieri energetici, di cui ogni lettera ebraica funge da vettore energetico.  Come si evince il cuore, Lev, pervade tutto il nostro corpo, attraverso le sue varie energie.

Il punto di incontro tra scienza e spiritualità, a mio parere, per quanto riguarda la coscienza, lo troviamo sicuramente nei Veda, soprattutto nelle parole dell’ultimo grande Acarya, Sua Divina Grazia Srila Prabhupada, per il quali la coscienza non è altro che “la luce dell’anima”, la luce animica che pervade il corpo. Il vero nostro Sé, l’anima, irradia la sua energia nell’intero nostro corpo. Il corpo quindi non è il produttore di coscienza, come affermato, spesso, dalla scienza, attraverso l’attribuzione ai neuroni del loro prodotto chimico, ma è semplicemente l’involucro che detiene, al suo interno, l’origine della coscienza, ossia l’anima, e i suoi effetti, sentimenti, ricordi, sensazioni ecc. Quando il corpo muore, sempre secondo Srila Prabhuapada, l’anima lascia il corpo e porta con sé la coscienza, con tutti i suoi annessi. Il corpo morto non può più interagire, con l’esterno, perché non è più presente l’anima, quindi il vero Io, il vero Sé, che gli dava il potere di interagire, comprendere, capire, sentire, provare, ecc. Questa visione della coscienza, la più chiara a mio parere, non distrugge le altre precedenti, ma le integra perché tutte le definizioni incontrate fino ad ora, con le loro ripercussioni scientifiche, filosofiche, psicologiche, sono tutte valide, come effetti, tuttavia, non come causa. Stante la verità che la causa è l’anima, allora l’individuo ha il dovere primario di ripulire la propria coscienza, per ritrovare il suo Vero Sè, l’anima e, quindi, riprendere il contatto con la vera realtà, la realtà spirituale, e mollare, piano piano, la realtà fittizia, ossia la realtà materiale.

Come Krsna pervade ogni cosa del creato, attraverso l’energia radiante dal suo corpo, il Brahmajyoti, così l’anima individuale, pervade il corpo che la contiene, tuttavia la netta e sostanziale differenza risiede nel fatto che Krsna ha percezione di ogni individuo e di ogni cosa creata, ne ha coscienza e controllo, mentre l’anima individuale può solo avere percezione e controllo del corpo che la contiene. Jung aveva parlato di un inconscio individuale e un inconscio collettivo, ma aveva visto solo il funzionamento esterno, ossia che la percezione inconscia individuale va a fondersi e a far parte di un inconscio molto più grande che contiene tutti gli inconsci, un infinito inconscio strutturato in archetipi. Per ripulire la propria coscienza, la Bhagavad Gita fornisce il metodo nel capitolo 5, intitolato “Karma-Yoga”, ossia l’azione in coscienza di Krsna. In questo capitolo Krsna istruisce Arjuna, suo caro amico, su come distaccarsi dall’azione interessata e volgere l’attenzione cosciente all’azione in coscienza di Krsna, l’azione perfetta, dove non esiste più il fenomeno azione/reazione, definito anche dal terzo principio della dinamica: ad una azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Il karma cessa di esistere nell’azione cosciente di Krsna, per cui l’individuo va solo verso la purificazione e non produrrà più peccato da scontare. In tal senso sono illuminanti due versi della Bhagavad Gita uno riferito al capitolo in questione, ossia il quinto, l’altro, invece al capitolo terzo:

I sensi attivi sono superiori alla materia inerte, ma superiore ai sensi è la mente, e superiore alla mente è l’intelligenza. Ma ancora più elevata dell’intelligenza è l’anima.

Bhagavad-Gita  così com’è  cap. 3, sloka 42

 

Chi compie il proprio dovere senza attaccamento, offrendo i suoi frutti al Signore Supremo, non è toccato dal peccato, come la foglia del loto non è toccata dall’acqua.

Bhagavad Gita così com’è cap. 5 sloka 10

 

Questi due versi li ritengo, personalmente, illuminanti in termini di coscienza. Il primo, perché struttura in modo chiaro l’intera gerarchia nell’individuo, dall’elemento meno importante a quello più importante. A tal proposito Srila Prabhupada commenta il verso 42, del cap. 3, con queste parole: “I sensi sono valvole, attraverso cui la lussuria agisce. La lussuria si accumula nel corpo e si sprigiona attraverso i sensi. I sensi sono dunque superiori al corpo nel suo insieme. Ma i sensi smettono di agire da “valvole” quando si sviluppa una coscienza superiore, la coscienza di Krsna.” Sta qui il cambio di marcia, ossia girare lo sterzo da azione interessata a soddisfare i sensi, ad azione per soddisfare Sri Krsna.

L’altro verso, lo ritengo illuminante, perché insegna, con gesti semplici, come liberarsi dal peccato, dal karma, dalla reazione materiale per come agiamo. La coscienza si va a ripulire, piano piano, semplicemente offrendo i frutti, non più a noi stessi, non più alla nostra vanità, al nostro falso Ego, ossia il corpo, ma a Krsna.  A tal proposito Sua Divina Grazia Srla Prabhupada commenta tale verso 10 del cap, 5 con queste parole: “Colui che sa perfettamente bene che tutto appartiene a Krsna, che Egli è il proprietario di tutto e che deve essere usato al Suo servizio, naturalmente non deve subire le conseguenze delle proprie azioni colpevoli o virtuose”. Questa è l’apoteosi del metodo per ripulire la coscienza e ritornare alla vera realtà, Krsna.

In definitiva credo che ogni filone abbia la sua estrema importanza, in termini di studio e comprensione, di cosa sia la coscienza e quali siano i suoi effetti, tuttavia penso davvero, sempre più possibile, un dialogo tra scienza e spiritualità, perché ritengo che entrambe siano attratte dallo stesso fine, ossia portare alle persone benessere in tutto e per tutto. L’anima pervade con la sua energia l’intero corpo, e gli effetti vengono studiati da scienziati, filosofi, psicologi, sociologi, per questo non c’è alcuna divergenza, se non nella errata convinzione di alcuni scienziati, ancora troppo ancorati alla sola materia inerme.

(M.A.)

 

 

 

 

 

 

 

 

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